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Riforma del lavoro sportivo, Nidil Cgil Monza Brianza: “Un’occasione perduta”

Secondo il sindacato la norma, che è in attesa di alcuni decreti attuativi, non soddisfa le esigenze di giustizia e di trasparenza. Tra i punti più critici il tetto delle 24 ore settimanali per distinguere dipendenti e collaboratori.


Il percorso è stato lungo, le aspettative tante e gli intoppi altrettanti. Eppure il risultato finale della legge di Riforma del lavoro sportivo, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lunedì 4 settembre dopo un iter iniziato nel 2019 con il Governo Conte bis e ancora in attesa di alcuni decreti attuativi, non è quello a cui aspiravano i sindacati.

“In sostanza la situazione è peggiorata, quindi una Riforma del lavoro sportivo mancata” afferma Lino Ceccarelli, Responsabile Nidil (Nuove identità lavoro) e dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza.

“C’è una situazione gravissima e piena di incognite per le lavoratrici e i lavoratori, che hanno le idee poco chiare e non ricevono certo aiuto dalle società sportive, che spesso ne sanno meno di loro – continua – non a caso, la nuova legge prevede un periodo di transizione dall’1 luglio al 31 ottobre, durante il quale eventuali errori commessi nell’applicazione della norma possono essere sanati senza conseguenze”.

Lino Ceccarelli

I CONTENUTI

I punti critici della Riforma del lavoro sportivo sono molti. E, secondo il sindacato, non consentono di aumentare le tutele e di migliorare le garanzie per le oltre 500mila donne e uomini che in tutta Italia, lavorando come istruttori, allenatori, trainer, spesso in condizioni precarie, permettono a milioni di italiani di svolgere un’attività sportiva.

“La legge prevede che dall’1 luglio i lavoratori delle palestre e delle società sportive dovrebbero essere assunti solo come lavoratori dipendenti, collaboratori coordinati e continuativi, o lavoratori autonomi a p. Iva – spiega il Responsabile Nidil Cgil di Monza e Brianza – il primo problema è che si fonda la distinzione tra collaboratore e dipendente sul monte ore: fino a 24 ore di lavoro settimanali sei collaboratore, oltre le 24 ore sei considerato dipendente”.

“Il dipendente è più tutelato perché vede riconosciuti tutti i suoi diritti, per questo in Italia si è diffuso il ricorso a false collaborazioni, cioè contratti di collaborazione che nascondono realtà di lavoro dipendente, come testimonia la presenza di rapporti gerarchici, poteri disciplinari del datore di lavoro, il controllo sulla prestazione del lavoratore e, spesso, il possesso degli strumenti di lavoro in capo al datore. Dunque – continua Ceccarelli – le 24 ore sono un regalo alle società sportive, che non dovranno assumere nessuno, mantenendo rapporti di collaborazione autonoma spesso truffaldini e, se si superano le 24 ore, chiedendo al collaboratore l’apertura della partita Iva, dal momento che la legge non obbliga all’assunzione”.

IL TRATTAMENTO FISCALE

La Riforma del lavoro sportivo lascia profonde perplessità anche su altri aspetti molto importanti per chi svolge la propria attività in questo settore.

“Sul piano fiscale avevamo un trattamento di favore non giustificato, con l’esenzione dal pagamento delle tasse fino a 10mila euro annui – afferma il sindacalista – adesso l’esenzione sale a 15mila euro l’anno, ma si paga solo sulla parte eccedente: quindi mentre un dipendente che guadagna 20mila euro l’anno paga il 23% su tutto, il collaboratore sportivo che guadagna la stessa cifra, paga il 23% solo sui 5mila che superano il tetto dei 15mila”.

“Non vediamo come si possa giustificare questo trattamento diverso tra lavoratori – continua – questo regime, se nei confronti dei lavoratori dovrebbe rappresentare un aiuto, per le società sportive è un vero e proprio regalo”.

LA PREVIDENZA

Disparità e incongruenze si registrano anche sul fronte dei contributi previdenziali. “Nel regime precedente il collaboratore era penalizzato dal fatto che non riceveva contributi previdenziali fino a 10mila euro annui – chiarisce il Responsabile Nidil Cgil di Monza e Brianza – adesso li riceve da 5mila in su, ma fino a 15mila non equivalgono al 34% della retribuzione come per gli altri collaboratori non sportivi, ma al 25%, che però per i primi cinque anni di nuovo ordinamento sono dimezzati al 12,5%”.

“Quindi un danno per la futura pensione delle lavoratrici e lavoratori sportivi, a vantaggio dei datori di lavoro che hanno una sconto ingiustificato sulla contribuzione dovuta ai propri collaboratori e spingono verso l’apertura della partita Iva” continua.

A questo si aggiunge il fatto che non è prevista la normale copertura Inail per la sicurezza delle lavoratrici e lavoratori sportivi. “Per i rapporti di collaborazione, si è tutelati solo nei casi di morte, inabilità permanente e malattia professionale – afferma Ceccarelli – per gli infortuni nessuna tutela e per le partite Iva neanche questo, la copertura assicurativa sarà tutta a carico loro”.

IL SINDACATO

Lo sforzo della Cgil per garantire le stesse tutele e gli stessi diritti a tutte le lavoratrici e lavoratori di ogni settore, compreso ovviamente lo sport, deve, quindi, proseguire nonostante i già tanti anni di impegno e le numerose iniziative anche nei confronti del Parlamento e dei Governi.

“La Riforma del lavoro sportivo purtroppo è arrivata al traguardo senza soddisfare le esigenze di giustizia e di trasparenza che la avevano ispirata – sostiene il Responsabile Nidil Cgil di Monza e Brianza – per questo siamo rimasti vicini alle lavoratrici e ai lavoratori che, anche nella ricca Brianza, guadagnano anche 4 euro l’ora e in tanti, in questi giorni, si rivolgono a noi per capire qualcosa ed essere tutelati”.

“Continueremo a lavorare sul piano nazionale – continua – sia per le modifiche che riteniamo necessarie, prima fra tutte, riportare la distinzione tra rapporto dipendente e collaborazione alla coerenza con le norme che riguardano tutti gli altri lavoratori, sia per le prevedibili vertenze, individuali e collettive, che questo pasticcio provocherà”.

IL GOVERNO

Per il sindacato la responsabilità di una Riforma del lavoro sportivo che ha stravolto la norma originaria è del Governo Meloni. “Qualcuno prova a giustificare questo sistema sostenendo che serve a tenere contenuti i costi dell’accesso agli impianti sportivi, a favore delle famiglie e di milioni di frequentatori – afferma Ceccarelli – ma non si capisce perché il contenimento del costo dello sport debba cadere sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori del settore e non di tutta la società”.

“La verità è che il Governo Meloni mira, come già per la liberalizzazione della più odiosa forma di ricatto per i lavoratori, il tempo determinato senza causa, a dividere e rendere più deboli i lavoratori, creando al tempo stesso disgregazione sociale – conclude – la diminuzione delle entrate fiscali porterà a peggiorare i servizi pubblici, a partire da salute e scuola”.

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