La Fontana delle Rane di Monza: la storia e la leggenda di Dagoberto e Amira

La Fontana fu scolpita nel 1923 dall’artista friulano Aurelio Mistruzzi e si trova da sempre in piazza Roma, vicino all’Arengario.
Monza. Ai monzesi, e non, sarà capitato almeno una volta, passeggiando per il centro, di soffermarsi vicino alla fontana di piazza Roma, di fianco all’Arengario. Quella per tanti è la “la Fontana delle rane” o ” La sirenetta di Monza”. E ai più piccoli, magari a spasso con i nonni, sarà capitato di giocare con lo schizzo di acqua fatto proprio dai piccoli animaletti scolpiti nel bronzo. E come ogni parte di Monzae del suo centro storico, anche la fontana nasconde una storia e una leggenda tutta da scoprire e che oggi vi raccontiamo.

La Fontana
Per la sua costruzione dobbiamo tornare indietro di cento anni perché la fontana è stata scolpita nel bronzo proprio nel 1923 dall’artista friulano Aurelio Mistruzzi. La storica fontana rappresenta una giovane che schiva il getto di acqua che arriva dalla rana che tiene sul palmo.
La statua della fanciulla si trova al centro di una vasca con otto piccole nicchie contenenti una rana ciascuna da cui escono getti d’acqua. Il fondo della vasca ricorda uno stagno ed è rivestito da un mosaico multicolore che raffigura pesci ed altre rane.

La cosiddetta fontana delle rane è censita tra i monumenti monzesi dalla Soprintendenza dei Beni Ambientali e Architettonici. Prima però, oltre alla storia, parlavamo anche di una leggenda. L’opera, da sempre nello stesso punto, racconta infatti la leggenda di Amira e Dagoberto.
La leggenda
La leggenda narra che Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti, fece costruire il suo palazzo a Monza, nei pressi di quella che oggi è Cortelonga. Nel palazzo, insieme a lui, viveva anche il nipote. Dagoberto, questo il nome del ragazzo, amava andare a cavallo nei boschi intorno alla città. In uno dei punti in cui il suo cavallo si rinfrescava bevendo, una rana saltò sulla mano del giovane per poi rituffarsi nell’acqua.
Questa scena si ripeteva ogni volta che Dagoberto e il suo cavallo si fermavano a ber fino a quando, in una notte di plenilunio, il giovane, sentendo un forte gracidare, si affacciò alla finestra della sua camera che dava sul Pratum Magnum, parte dell’attuale piazza Trento e Trieste, dove il corso di acqua da cui si abbeverava il cavallo scorreva. È proprio qui che vide tante rane disposte intorno proprio a quella piccola rana che incontrava sempre nelle sue uscite a cavallo. La rana, venne investita da un fascio di luce della luna, e si trasformò in una bellissima fanciulla che lo salutò e scomparve.

Da quella notte Dagoberto aspettò alla finestra sperando nel ritorno della giovane. Intanto l’estate proseguiva e con lei la siccità che prosciugava completamente il fiumiciattolo facendo morire le rane. Dagoberto allora trovando la “sua “ rana la adagiò su una foglia e la sotterrò.
La notte fu squarciata da un violento temporale che improvvisamente, com’era iniziato, finì. Il giovane, allora, si affacciò di nuovo alla finestra e vide un raggio di luna colpire proprio il punto in cui poco prima aveva seppellito la rana, ora ricoperta dall’acqua del temporale.
Ed ecco spuntare ancora la bellissima fanciulla che camminando sul raggio lunare raggiunse Dagoberto alla finestra sussurrandogli: “grazie di avermi aiutato: sono Amira la principessa delle rane ed ora debbo tornare nel mio regno”. Lo baciò e scomparve.