Sport e educazione alla pace, UPF Monza: “In Brianza tanti esempi di inclusività e integrazione”

30 ottobre 2023 | 10:09
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Sport e educazione alla pace, UPF Monza: “In Brianza tanti esempi di inclusività e integrazione”

Il convegno dal titolo “Educazione alla pace: il ruolo dello sport”, promosso dalla UPF (Universal Peace Federation) con il sostegno del Comune di Monza e il patrocinio del CONI Lombardia, si è tenuto sabato 28 ottobre al Binario 7, alla presenza di associazioni e realtà del territorio.

Vivere per il bene degli altri è la cosa più bella che si possa fare“. In questa frase lo spirito della mattinata di sabato 28 ottobre al Binario 7 di Monza, dove si è tenuto il convegno “Educazione alla pace: il ruolo dello sport“, promosso dalla UPF (Universal Peace Federation) con il sostegno del Comune di Monza e il patrocinio del CONI Lombardia.

Si è parlato di giovani, di integrazione ma soprattutto di sport e dell’importanza che esso ha, sul nostro territorio e non solo, come strumento di dialogo, di pace. Tanti gli ospiti presenti all’evento condotto da CarloChierico, presidente UPF Monza, insieme a OmarPorro, redattore del Giornale di Monza. Dalle istituzioni, con il sindaco di Monza Paolo Pilotto e l’assessore allo Sport e biblioteche Viviana Guidetti, alle associazioni, come YouSport rappresentata dal Direttore generale Matteo Capone, fino al mondo del giornalismo rappresentato da FabrizioAnnaro, Direttore del giornale online “Il Dialogo di Monza“.

Ma presenti anche gli sportivi, come il campione brianzolo di handbike Davyd Andryiesh, e gli ex sportivi di rilievo, come Antonella Mauri, campionessa mondiale di pattinaggio di velocità su pista. L’obiettivo: promuovere una riflessione congiunta sul valore dello sport nell’ambito dell’educazione alla pace, sul territorio ma anche a livello mondiale.

Convegno UPF Monza Binario 7 sport

“La pace è una questione di comportamento ma è anche una questione di linguaggio – ha esordito il sindaco Paolo Pilotto, dopo un minuto di silenzio osservato per le vittime del conflitto arabo-israeliano. “Pensiamo allo sport. Espressioni come “gli abbiamo fatto male” o “potevamo fargli ancora più male” capita spesso di sentirle sui campi da gioco e a volte alle parole, purtroppo, seguono i fatti. Da genitore lo so bene avendo due figli che hanno praticato assiduamente lo sport. Ma queste degenerazioni che spesso, normalizzate, passano dagli allenatori, dai genitori, dai tifosi ai ragazzi, non hanno nulla a che fare con lo spirito dello sport. Durante una partita il comportamento del giocatore può essere fomite di un comportamento aggressivo sugli spalti e viceversa”.

E ha aggiunto: “La nostra società ha un problema di aggressività ma lo sport è un fondamentale antidoto. La sana competizione, attraverso regole che mettono tutti sullo stesso piano, senza discriminazioni, unisce non solo tifosi e giocatori di squadre avversarie ma spesso anche popoli diversi. La cultura sportiva però, quella sana, deve passare anche dalle famiglie. Spesso come genitori, vivendo di corsa, finiamo per trascurare i nostri figli, le relazioni profonde, dimenticando che esse sono fondamentali nello sport come nella vita”.

L’ambasciatrice UPF Husseiny: “Lo sport è integrazione”

A prendere la parola, durante l’incontro di sabato, anche Wesam El Husseiny, laurea in scienze politiche presso l’Università degli studi di Milano, nel 2011 ambasciatrice di pace, per UPF segue e organizza tra le varie cose un torneo interetnico di pallavolo femminile, che si tiene dal 2012.

Convegno UPF Monza Binario 7 sport

“Una delle attività che abbiamo portato avanti è stata quella del torneo interetnico di pallavolo – ha raccontato Husseiny. “La richiesta è arrivata dalle ragazze stesse. Se i maschi giocavano a calcio, perchè anche loro non avrebbero dovuto avere un loro torneo? Noi abbiamo accolto subito la proposta e abbiamo organizzato vari tornei che tra l’altro sono multietnici, quindi coinvolgono tante donne e ragazze di varie nazionalità, sia nate in italia che di origine straniera. Nel 2012 sono state sei le squadre a partecipare al Trofeo della Pace al femminile: la squadra Mapelli formata da giocatrici della scuola dove si è tenuto il torneo, la Floriani con giocatrici dell’Istituto Floriani di Vimercate, la UPF con giocatrici di 4 nazionalità diverse, il Sanda Volley con una formazione di giovanissime under 16 e 2 squadre di giovani musulmane: una del Centro Islamico di Monza e una dell’Ass. dei Giovani Musulmani Italiani”.

E ha aggiunto: “Quello migratorio è un problema reale e lo sport è un grande veicolo di integrazione, di conoscenza reciproca, di pace. Troppo spesso vediamo oggi come l’odio e il razzismo portino guerra e devastazione. È bello vedere quanto sul nostro territorio ci sia attenzione allo sport e all’inclusività ma c’è ancora molto lavoro da fare”.

Annaro: “Il giornalismo usi un linguaggio di pace e non di odio”

“Amo molto lo sport fin da quando ero bambino; tra i 10 e gli 11 anni, quando abitavo a Genova, ho giocato come pulcino nella Sampdoria – ha raccontato Annaro, sottolineando il valore delle regole e della condivisione. “La passione l’ho poi trasmessa anche a mio figlio. Il giornalismo, come lo sport, deve avere tra i suoi obbiettivi quello di aiutare a far crescere la comunità, comunità che, a livello globale, sta vivendo svariate crisi tra cui quella innescata recentemente dal conflitto tra Israele e Hamas. Il giornalismo oggi più che mai non deve alimentare l’odio, lo scontro ma ha il compito speciale di raccontare, testimoniare la realtà, con un linguaggio semplice, di pace, in modo equilibrato”.

“Il giornale che ho fondato ha il sottotitolo “La provocazione del bene”. Narrare il bene oggi può essere un’impresa difficile. Spesso i giornalisti oggi preferiscono sottolineare e accentuare gli aspetti negativi, il male, usando un linguaggio ad effetto. Ma pensiamo anche ai social. Sono dei grandissimi strumenti di partecipazione, di condivisione ma anche veicoli d’odio e degrado. Noi giornalisti, contrastando ad esempio la diffusione di fake news e utilizzando un linguaggio corretto, equilibrato, dobbiamo lavorare affinchè i social non diventino amplificatori di conflittualità e discriminazione”.

Sport e integrazione: il progetto “Mischiamoci”

Esempio virtuoso sul territorio di come lo sport unisca, il progetto “Mischiamoci”, nato nel  novembre 2012 dall’idea di due allenatori del Rugby Monza: Alessandro Geddo e Francesco Motta, ai quali si è unito strada facendo Davide Siever, un giocatore della Seniore. Il pogetto ha visto negli anni il coinvolgimento di persone detenute nella Casa circondariale di Monza in attività sportive ma non solo.

Convegno UPF Monza Binario 7 sport

“Il campo del Rugby Monza è proprio adiacente alle mura della Casa Circondariale – spiega Roberta Perego, Referente del progetto “mischiamoci”. “È proprio vero che lo sport unisce, superando le barriere. Il progetto è stato un successo tanto che dopo tutti questi anni, nessuno ha voluto abbandonarlo. Allenatori volontari allenano personanalmente le persone detenute, e la partecipazione è sempre tanta, che poi disputano partite con i giocatori del Rugby Monza in un contesto di condivisione e sportività. In campo si è tutti uguali tutti, alla pari, ed è bella l’idea dello stare insieme anche dopo. A Natale ad esempio, dopo la partita, abbiamo mangiato il panettone in carcere con alcuni detenuti. L’obbiettivo non è quello di sponsorizzare un’attività fine a se stessa, ma è quello di andare oltre le mura del carcere: è un modo per dire alle persone detenute che le porte del Rugby Monza sono aperte per loro; anche quando usciranno dal carcere, potranno decidere di non frequentare più i luoghi di prima ma, piuttosto, andare a bere una birra con gli amici del rugby, oppure, perché no, svolgere un’attività insieme a loro”.