Rachele, la pilota di rally che corre con e contro la fibrosi cistica

Affetta da fibrosi cistica, Rachele Somaschini gareggia nei rally promuovendo la ricerca e la sensibilizzazione verso la malattia.
Tra i cento equipaggi partecipanti al Rally di Monza spicca una Citroen C3 n*16 con l’adesivo “Sei tutti i limiti che superi”. Alla guida c’è la ventinovenne RacheleSomaschini: pilota milanese affetta da fibrosi cistica che ha dedicato la propria vita al sostegno della ricerca medica. Rachele è infatti testimonial della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica e con il suo progetto solidale CorrerePerUnRespiro ha raccolto venerdì e sabato oltre 5 mila euro di donazioni. Il weekend brianzolo ha così permesso di raggiungere in totale quasi 400 mila euro di fondi da destinare a nuovi progetti di ricerca.
Oltre alla soddisfazione sociale, Rachele porta a casa anche un successosportivo: a Monza ha infatti vinto per la terza volta il Campionato Italiano Femminile Rally, ma non si dorme sugli allori. L’obiettivo infatti è scalare la classifica assoluta che l’ha vista posizionarsi 17ª: “È un riconoscimento che fa piacere, ma l’obiettivo è la classifica generale. – spiega la pilota – Il campionato femminile non è l’obiettivo principale per cui corro”.

Rachele Somaschini da anni porta avanti la sensibilizzazione verso la fibrosi cistica: malattia genetica grave che colpisce diversi organi, soprattutto pancreas e polmoni. È proprio il danno a quest’ultimi che determina la qualità e la durata della vita e che, alla fine, porta all’impossibilità di respirare.
Chi nasce con la malattia ha ereditato un gene difettoso sia dal padre che dalla madre, entrambi portatori sani nella maggioranza dei casi non consapevoli di esserlo. In Italia si contano circa due milioni e mezzo di portatori sani: uno ogni 25 persone. Al momento, per la fibrosi cistica non c’è guarigione.

Intervista a Rachele Somaschini: la lotta alla fibrosi cistica
Tu sei simbolo della ricerca medica e della passione per le corse, come comunicano questi due mondi?
“È una cosa che è venuta da sé. Sono una ragazza con la passione per i motori con una compagna di vita abbastanza ingombrante: la fibrosi cistica. Inizialmente fare sensibilizzazione sul tema e promuovere la ricerca ha avuto un grande impatto mediatico e allora dal 2016 abbiamo cercato di rendere questa necessità un progetto. È nato così CorrerePerUnRespiro, il progetto charity che unisce questi due aspetti di me: a Monza durante il rally abbiamo raccolto 5 mila euro di donazioni raggiungendo in totale 400 mila euro di fondi per la ricerca sulla fibrosi cistica. C’è ancora bisogno di finanziare la ricerca anche se negli ultimi anni sono stati fatti grandi progressi: esiste ora un farmaco che può fornire un valido aiuto a circa il 70% delle persone. Questo però non è il punto d’arrivo perché ancora tanta gente, tra cui io, attende farmaci anche per loro”.

Nella tua carriera la malattia ti ha mai posto dei limiti?
“Non sempre si ha il controllo della situazione. Quando le cose vanno bene, escludendo le varie procedure mediche, riesco ad avere una vita piena realizzando quello che per me è importante. Si tratta però di una malattia degenerativa che crea delle problematiche contro le quali non hai alcun potere: occorrono quindi ricoveri pesanti per cui è complicato tornare alla quotidianità. La mia normalità inoltre è uno sport impegnativo come le corse automobilistiche, quindi non è facile riprendere gli allenamenti dopo ricoveri e farmaci pesanti. La volontà però non manca”.

Quali sono i traguardi già raggiunti e quelli futuri dell’associazione Ricerca Fibrosi Cistica Onlus?
“Al Rally di Monza abbiamo raccolto 5 mila euro di donazioni raggiungendo in totale 400 mila euro di fondi per la ricerca sulla fibrosi cistica. L’obiettivo ora è trovare una cura per tutti, ovvero continuare a finanziare la ricerca: purtroppo infatti esiste ancora un 30-40% di persone che non hanno farmaci di ultima generazione, sia potenziatori sia modulatori, in grado di agire direttamente alla base della mutazione genetica. Non bisogna però scordare la sensibilizzazione verso la malattia. Recentemente infatti ho finanziato un progetto sul test del portatore sano: un esame che però dovrebbe esser reso dallo Stato un po’ più fruibile, sia a livello di semplicità che di costi.
Qual è l’ostacolo maggiore nel fare sensibilizzazione? In Italia se ne fa abbastanza?
“La fibrosi cistica è una malattia che non si vede e questa è una difficoltà importante. Far capire di cosa si sta parlando è complicato, ma le piattaforme social mi hanno dato un grande aiuto. Cerco infatti di far capire cosa c’è dietro a una persona affetta dalla malattia perché chi mi guarda da fuori non direbbe mai che tutti i giorni devo dedicare ore alla fisioterapia respiratoria o trascorrere giorni in ospedale. Voglio comunque trasmettere un messaggio positivo e di speranza perché la ricerca va avanti”.

Il tuo motto è “Sei tutti i limiti che superi” e si può dire che ne hai superati diversi come anche affermarsi in un ambiente come il motorsport fortemente maschile. Come è stato il percorso?
“I luoghi comuni li conosciamo tutti e fanno ancora scalpore. Non esistono infatti sport da donne o da uomini: le passioni sono trasversali. A volte le persone possono non credere in te o giudicano prima di vedere, ma dall’altro lato questo ti può dare una visibilità in più rispetto ad altri colleghi. Allo stesso modo però se non seguono dei risultati, la battuta è dietro l’angolo. Non ti basta dare il 100%, ma occorre il 200% per dare dimostrazione delle tua abilità“.
Il tuo ricordo sportivo più bello e più brutto?
“Devo mettere la stagione 2023 e tutte le gare di europeo che ho fatto, un’esperienza che mi ha insegnato tantissimo. Una delle migliori stagioni anche se pur sempre impegnativa. Difficile invece indicare la stagione più brutta perché le delusioni nel motorsport derivano più dal fatto che è una disciplina non meritocratica: il tuo futuro dipende più dalla tua bravura nel trovare degli sponsor. Sotto questo punto di vista allora posso indicare l’anno 2021 dato che avevo perso il mio main sponsor“.
Cosa ti insegna scendere in pista e correre?
“È una passione che ti costringe, e insegna, a fare tutto quello che è nelle tue abilità. Non è solo guidare, dietro le quinte c’è tantissimo lavoro che pochi capiscono, conoscono e apprezzano. Tutto il tempo che non sono in macchina lo spendo per portare a casa contratti, progetti e accontentare il più possibile gli sponsor“.
