Giorno della Memoria, le Medaglie che onorano la vita di sette brianzoli deportati

La consegna è avvenuta in Prefettura. Alla presenza di figli e nipoti, è stato celebrato il ricordo e l’esempio di uomini che seppero fare scelte coraggiose, spesso perdendo la propria vita per un bene superiore.
Monza. “La libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. Questa frase di Piero Calamandrei, politico e giurista, dovrebbe essere ricordata non solo il 27 gennaio, Giorno della Memoria, quando si commemora il dramma dell’Olocausto. Perché la libertà è un bene prezioso, da salvaguardare tutti i giorni nella nostra quotidianità.
Anche sull’esempio di chi, come i sette brianzoli deportati nei lager nazisti a cui la Presidenza della Repubblica ha conferito le Medaglie d’Onorealla memoria, ha messo in gioco e, spesso, perso, la propria vita per opporsi a dittature basate sulla cieca violenza e l’oppressione dei diritti fondamentali. La cerimonia, che venerdì 26 gennaio si è tenuta in Prefettura a Monza, non è stata, quindi, un’occasione per ripetere stancamente concetti contraddetti dall’attualità di un mondo dilaniato da conflitti cruenti.

L’obiettivo, infatti, era quello di raccontare la storia di sette giovani uomini, Giovanni Cesana, Filippo Lentini, Antonio Munaretto, Giovanni Pozzoli, Camillo Sala, Ferruccio Trabattoni e Pierino Visconti, nati e cresciuti nel nostro territorio, che hanno saputo fare scelte coraggiose quando sono stati chiamati in causa. E, soprattutto, come torce accese in una notte buia, sono stati in grado di passare il testimone a figli e nipoti.
IL SIGNIFICATO
“La libertà e la democrazia sono un valore fondante della nostra Costituzione, che non possiamo dare per scontato o acquisito per sempre – afferma Patrizia Palmisano, Prefetto di Monza e Brianza – dobbiamo custodire questo valore e capire che dietro questi sette uomini, a cui sono conferite le Medaglie d’Onore alla memoria, c’è il dramma umano di persone che hanno sofferto”.
“Di fronte alla scelta tra la propria vita e la libertà di tutti hanno scelto quest’ultima, spesso perdendo la prima” aggiunge Palmisano. Un messaggio valido ieri come oggi. Anzi forse oggi ancora di più. “Dobbiamo avere memoria di quel che è stato ormai più di 80 anni fa perché il mondo in cui viviamo è avvelenato dall’odio, nelle guerre e sui social” sostiene Luca Santambrogio, Presidente della Provincia di Monza e Brianza.

“Quel che è stato fatto allora a giovani come i sette brianzoli deportati, di cui ricordiamo la memoria, è come se fosse stato fatto a noi” afferma Fabio Lopez Nunes, presidente del Comitato per le Pietre d’Inciampo MB. E, allora, sono assolutamente necessari degli anticorpi. “La coltivazione della memoria deve superare la retorica – sostiene il sindaco di Monza, Paolo Pilotto – dobbiamo sentirci coinvolti nel compito di condividerla perché questo allontana la violenza e la logica del dito puntato”.
I PROTAGONISTI
Da Carate Brianza a Bovisio Masciago, da Desio a Besana in Brianza, da Monza a Meda, le città che hanno segnato la vita dei sette brianzoli deportati nei lager nazisti a cui è stata conferita la Medaglia d’onore alla memoria si sono ritrovate tutte insieme il 26 gennaio in Prefettura.
Al di là dei nomi e delle origini, la storia di Giovanni Cesana, Filippo Lentini, Antonio Munaretto, Giovanni Pozzoli, Camillo Sala, Ferruccio Trabattoni e Pierino Visconti, è accomunata dal filo rosso della sofferenza e del sacrificio. Ma anche dal bagliore di un coraggio estremo ed imperituro.

LE STORIE
Giovanni Cesana di Carate Brianza, ad esempio, lavorava alla Brown Boveri di Milano come perito elettrotecnico. Fu catturato dai tedeschi e morì di stenti a soli 21 anni in uno stalag in Germania. Non prima, però, di sfamare i compagni internati. Ferruccio Trabattoni, anche lui di Carate, invece, sarebbe potuto diventare calciatore. La guerra e l’esperienza di deportato non lo uccisero, ma ne segnarono a vita la salute e lo condannarono a incubi ricorrenti.
Anche Antonio Munaretto sopravvisse ai lavori forzati in Germania, fece ritorno in Italia e formò una sua famiglia. Poi, però, stranezze del caso, morì accidentalmente a soli 60 anni cadendo da un albero da frutto poco dopo essere andato in pensione.

VITA O MORTE?
C’è chi, come Giovanni Pozzoli, nonno di Emanuele Pozzoli, sindaco di Besana in Brianza, tornato in Brianza dopo aver fatto più di mille chilometri in bici, è riuscito ad avere una vita lunga, terminata all’età di 89 anni. Non così per Camillo Sala e Filippo Lentini, morti rispettivamente a 27 anni, a seguito di un bombardamento aereo dopo essere stato internato in un lager sul fronte jugoslavo, e a 44 anni in uno Stalag nei pressi di Dortmund.
Pierino Visconti, nativo di Meda, superò l’esperienza del campo di prigionia in Germania, anche grazie a qualche patata rubata di tanto in tanto. Il suo ritorno avventuroso in Brianza, dopo aver percorso 1200 chilometri a piedi, gli ha permesso di godersi, seppur non per molto, anche la gioia di avere una nipotina, Vera. Finché ci sarà il passaggio di testimone, la libertà avrà ancora una speranza.