Elena Granata (urbanista del Politecnico): “Basta costruire, è il momento di decostruire”

Elena Granata, docente di urbanistica al Politecnico, è intervenuta a Desio, al circolo culturale Pro Desio, per presentare il suo libro “Placemaker” e la sua idea di città. “Dobbiamo togliere, fare spazio, ripartendo dalla natura e dai bisogni della comunità”. Le zone 30? “Bene ha fatto il comune a introdurle, anche se la sfida non è facile. I cittadini vanno accompagnati nelle scelte”
Elena Granata è una professoressa di urbanistica al Politecnico di Milano e si occupa di città, ambiente e cambiamenti sociali. Vicepresidente della Scuola di Economia Civile, urbanista-architetta, è intervenuta lunedì sera al circolo culturale Pro Desio, per presentare il suo libro “Placemaker, gli inventori dei luoghi che abiteremo”. L’abbiamo intervistata poco prima dell’incontro pubblico, molto partecipato, come tutti gli eventi organizzati dal circolo culturale Pro Desio.
Chi sono i placemaker?
“Sono persone, gruppi, associazioni, cooperative, preti di strada che hanno capito che nessuno darà loro il permesso di mettere mano sulla città: lo fanno con progetti dal basso. Dato che questi innumerevoli attori che troviamo nelle città, soprattutto al sud e tra i giovani, non hanno una vera e propria definizione, c’era bisogno di dargli un nome. E così ho fatto. Da quando è uscito il libro, ricevo settimanalmente messaggi e mail di placemaker che si sono riconosciuti in questa definizione. Oggi c’è un vuoto di narrazione su quello che le persone fanno e un vuoto di identificazione in un modello di azione collettiva sul territorio, che non necessariamente coincide con quello che ci aspettiamo”.
I placemaker sono presenti sia nelle grandi che piccole città?
“Si, anche nelle piccole città ci sono placemaker. Penso, per esempio, a don Antonio Loffredo al rione Sanità di Napoli, ai ragazzi di ‘Periferica’ a Mazara del Vallo che hanno preso in carico una cava e lì fanno arte e cultura, oppure ai borghi in montagna o le vecchie zone industriali che sono state recuperate e ora hanno una nuova vita. Il placemaker non mette mano alla forma fisica, ma rigenera il senso di un luogo, gli ridà vita. Questo significa ridare una possibilità di sopravvivenza, attraverso un’economia che rinasce, identità e bellezza. E’ un lavoro bello e complicato”
Il territorio del nord Italia è molto cementificato. Desio, come molte altre città, si è espansa in passato e ora è in fase di revisione del Pgt. Quale consiglio si sente di dare agli amministratori delle nostre città?
“Io sono un’urbanista che non crede tanto nell’urbanistica tradizionale, perché ha portato ad azioni fallimentari, mancanza di visione, incapacità di controllo dell’espansione, situazioni in cui si mescolano anche gli affari e gli interessi. Il punto oggi non è costruire la città nuova ma decostruire. Dobbiamo togliere, sottrarre, fare spazio, progettare la nostra sopravvivenza attraverso progetti che mitigano la crisi climatica, ripartendo dalla natura e dai bisogni della comunità. Ci viene richiesto un vero cambiamento culturale, un grande cambiamento, per evitare gli errori del passato. Io sono stata ingaggiata dal comune di Seregno per capire quali linee dare, per un’urbanistica più attenta al clima, all’ambiente, ai bisogni delle persone, a nuovi stili di abitare, perché i modelli del passato forse non sono più adeguati”.
A Desio la precedente amministrazione comunale ha introdotto le zone 30 e una nuova viabilità. Gli interventi hanno suscitato molte critiche e polemiche. Cosa ne pensa?
“Più la popolazione è anziana, più è difficile fare accettare dei cambiamenti. Capisco che la sfida non è facile. In realtà il comune è stato antesignano, perché oggi città come Bologna stanno investendo tanto in questa direzione. Io non demorderei. I tempi per il cambiamento sono lunghi. Là dove possibile, dobbiamo lavorare sulla qualità dello spazio pubblico, anche a rischio di non essere capiti. I cittadini vanno accompagnati nelle scelte, per fare comprendere i cambiamenti”
Lei ha scritto anche un libro dal titolo “Il senso delle donne per la città. Curiosità, ingegno, apertura”. Che ruolo hanno le donne nell’urbanistica e nella progettazione delle città e degli spazi pubblici?
“In passato, le donne non hanno potuto pianificare, non hanno costruito le città, raramente sono state ingegnere, ma hanno fatto altro: si sono occupate dello spazio pubblico, i beni comuni, paesaggi e giardini, sono state amanti della natura. Tutte queste cose le hanno fatte perché sono state escluse e non non potevano fare altro. Oggi però questi temi sono diventati centrali. Quindi, rovescio la questione. Quelle competenze che le donne si sono fatte perché escluse dalle grandi strategie, oggi devono portarle dentro al dibattito, anche alzando la voce. Salute, spazio dei bambini, qualità dell’aria. Sono tutti aspetti che le donne sentono molto di più degli uomini, perché sono più sensibili ai cambiamenti. Il pensiero delle donne oggi è fondamentale. Se non fanno sentire la loro voce, sarà un danno per tutti. Questo è il momento delle idee che partono dalla natura, da un bisogno di conciliazione tra lavoro e i tempi della vita. Sono esigenze di tutti, non solo delle donne”.