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Alpinista oltre la malattia, Valerio Annovazzi incanta il pubblico di DF Sport Specialist

5 marzo 2024 | 10:28
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Alpinista oltre la malattia, Valerio Annovazzi incanta il pubblico di DF Sport Specialist
Valerio Annovazzi (secondo da destra) tra Luigi Piatti e Sergio Longoni

Nonostante due infarti e un congelamento alle dita della mano destra, l’ex camionista ha raccontato la sua incredibile storia personale che l’ha portato a scalare cinque Ottomila. L’ultimo, nel 2023, il Nanga Parbat a 65 anni.

Imparare a conoscere i propri limiti è segno di maturità e consapevolezza. Ma a qualcuno capita anche di riuscire a sorprendersi andando oltre le nostre stesse aspettative. Con la sua storia personale Valerio Annovazzi, uno dei grandi protagonisti dell’alpinismo moderno, dimostra che si può arrivare perfino dove le leggi della medicina vieterebbero.

Precisamente Valerio, classe 1958, originario della Val Brembana ma da anni residente nel lecchese,  nonostante due infarti cardiaci e un grave congelamento alle dita di una mano, è arrivato per ben cinque volte su cime superiori agli 8mila metri. E lo ha fatto senza l’aiuto dell’ossigeno.

A portarlo così in alto, come ha raccontato nella serata “A tu per tu con i grandi dello sport” organizzata da DF Sport Specialist nel negozio di Bevera di Sirtori, sono stati “soltanto” una passione tardiva e smisurata per la montagna, l’adeguata preparazione fisica e i controlli puntuali e attenti del suo cardiologo, il Dott. Luigi Piatti. 

Valerio Annovazzi

OLTRE I LIMITI

“Fino a 44 anni lavoravo come muratore e camionista, ero sovrappeso e fumavo almeno un pacchetto di sigarette al giorno – spiega Valerio Annovazzi  nel corso della serata moderata dalla giornalista Sara Sottocornola – poi nel 2002 ho avuto il primo infarto e mi è stato detto di fare movimento. Ho cominciato a fare passeggiate e man mano ho aumentato lunghezze ed altezze”.

Passano gli anni, l’alpinista bergamasco entra in gruppi che praticano il trekking. Nel 2012 dopo un’escursione in India, nel Ladakh, arriva a scalare una cima di oltre 6mila metri. Lì scatta la scintilla definitiva. “Nel 2014 raggiungo la vetta del Cho Oyu, al confine tra Cina e Nepal, la sesta montagna più alta della terra con i suoi 8201 – afferma – poi, negli anni successivi, altri 8mila sono stati il Manaslu, il Gasherbrum II e il Broad Peak“.

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Annovazzi, nel suo curriculum da alpinista, non disdegna nemmeno cime magnifiche delle Ande come l’Aconcagua, lo Huascarán e l’Alpamayo. E non si lascia fermare nemmeno da alcuni imprevisti. Nel 2015, infatti, al ritorno a casa proprio dopo una serie di vette delle Ande, viene colpito da un secondo infarto. Non si spaventa nemmeno quando nel 2017 resta bloccato per 3 giorni, in mezzo ad una bufera, senza viveri a 7mila metri. O quando nel 2018 non raggiunge gli 8462 metri del Makalu, in Nepal, rimettendoci le dita della mano destra per congelamento.

L’IMPRESA

Nel 2023, poi, la storia di Valerio diventa definitivamente un esempio a cui ispirarsi, ma anche un caso di studio pubblicato sulle principali riviste internazionali mediche e scientifiche. A 65 anni, infatti, scala il suo quinto Ottomila, il Nanga Parbat, in Pakistan. Un’impresa, sicuramente la più difficile dal punto di vista tecnico della sua carriera da alpinista, non priva di ostacoli da superare. E impressa anche nelle immagini del documentario “Alpinista oltre la malattia”.

“L’ultima notte al campo IV prima della salita finale verso la vetta è stata caratterizzata dal maltempo ed eravamo in cinque in una tenda da tre perché la seconda si era rotta” chiarisce Annovazzi. Che, però, del momento in cui è arrivato sugli 8126 del Nanga Parbat, ha un ricordo piuttosto vago. “Non so gli alpinisti professionisti, ma tutte le volte che ho scalato gli Ottomila ero talmente intontito in cima da non avere belle sensazioni da gustare” ammette con la sua consueta simpatia.

Valerio Annovazzi

NON PER TUTTI

Nel corso dell’ennesimo evento “A tu per tu con i grandi dello sport” organizzato da DF Sport Specialist, c’è stato spazio anche per cercare di capire come sia possibile che un uomo con la storia clinica di Valerio Annovazzi sia in grado non solo di recuperare dall’infarto, ma addirittura di compiere sforzi che quasi tutte le persone sane non si sognano nemmeno di fare.

“In realtà, tranne situazioni specifiche, non esistono limitazioni o esclusioni all’ascesa a quote elevate per motivi cardiovascolari – spiega Luigi Piatti, cardiologo e amico di Valerio – se ci si allena e si ha la forza morale si può fare alpinismo”. “Con opportune valutazioni cliniche, tutti gli infartuati possono e devono fare attività fisica – continua – non tutti, però, possono fare quello che ho fatto Valerio”.

Ci sono, comunque, degli elementi da cui non si può prescindere. “Assunzione regolare di farmaci, l’allenamento, fare le cose con gradualità, imparare ad osservare se stessi e, se si va in alta quota, fare un buon acclimatamento” afferma Piatti.

Valerio Annovazzi

IL CANTO DEL CIGNO

Se siete arrivati fino alla fine di questo articolo, non pensiate che Valerio Annovazzi affronti la sua passione per l’alpinismo con incoscienza e, soprattutto, senza subire qualche conseguenza sul suo equilibrio psichico. “Non so perché ma tutte le volte che sono arrivato oltre gli Ottomila non ho avuto paura mentre ero lì ad alta quota – racconta – poi tornato a casa, almeno per una settimana, continuo ad avere incubi in cui sogno di cadere mortalmente da crepacci e in tanti modi diversi”.

Nel prossimo futuro Valerio non dovrà correre più il rischio di veder disturbato il suo sonno. Nel negozio DF Sport Specialist di Bevera di Sirtori, infatti, ha confermato che il Nanga Parbat è stato il suo ultimo 8mila. “Non ho più i soldi” scherza. In realtà c’è anche la promessa di smettere, fatta alla moglie Giuliana e alla figlia Chiara. A cui, però, era già venuto meno anni fa.

Questa volta, però, Valerio, dopo il Nanga Parbat, ha anche donato la costosa attrezzatura e il vestiario necessario per andare in cima. A prescindere se manterrà o meno la promessa, però, la sua storia personale resterà a futura memoria di “tutti coloro che non smettono mai di sognare“.