Il tema

Politica estera, alla Scuola di formazione politica Alisei focus sulle mancanze dell’Europa

Il Vecchio Continente deve fare precise scelte di politica commerciale ed industriale per non restare spettatore della diatriba tra Stati Uniti e Cina.

Scuola Alisei

Monza. Viviamo in un mondo interconnesso e globalizzato. La consapevolezza di ciò, però, non produce quasi mai la possibilità di raggiungere facilmente decisioni eque e capaci di soddisfare interessi generali. Ecco perché nella faticosa e costante ricerca di un equilibrio tra le diverse forze mondiali in campo, essere in grado di far sentire la propria voce è fondamentale.

Vale anche per la politica estera che nei suoi vari aspetti, dal commercio alle scelte industriali fino alle sfide dell’innovazione tecnologica e della transizione ecologica, non vede l’Europa in prima fila.

Anzi se il Vecchio Continente, come emerso dalle lezione “L’EU e gli altri – Usa, Cina, Africa” inserita nel programma della decima edizione della Scuola di formazione politica Alisei, non saprà fare presto le giuste mosse, rischia di diventare il classico “vaso di coccio” tra i “vasi di ferro” Stati Uniti e Cina.

LA SITUAZIONE

Le molteplici relazioni tra argomenti di notevole complessità, come il rivedere le regole del commercio internazionale, si intrecciano inevitabilmente con gli impatti diretti e indiretti sulle condizioni dei lavoratori e con i conseguenti risvolti sociali.

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“La concorrenza sleale e la crisi del multilateralismo sono i due principali problemi del commercio estero” afferma Elena Crasta, Senior Advisor per gli affari esteri dell’European Trade Union Confederation (Confederazione europea dei sindacati, Ndr), organizzazione nata nel 1973 e, in nome di 93 organizzazioni sindacali nazionali di 41 Paesi europei, principale interlocutore delle istituzioni dell’Unione europea in materia di rappresentanza dei lavoratori.

“Le regole del libero commercio fissate nel Dopoguerra, che ad esempio non prevedevano impegni per raggiungere obiettivi ambientali, non sono più adeguate oggi – continua Crasta nel suo intervento alla Scuola di formazione politica Alisei quest’anno intitolata “CREW. Ritorno a Ventotene” – mentre l’Europa attua forti limitazioni a politiche di sostegno alla produzione industriale nazionali, c’è chi come la Cina, dove si applica il lavoro forzato, elargisce forti sussidi alle proprie aziende creando situazioni di dumping“.

LA CINA

Proprio il gigante asiatico, il più popoloso Paese del mondo con il suo miliardo e mezzo di abitanti, è considerato ormai il competitor principale, non soltanto economico, degli Stati Uniti e del mondo occidentale.

“Si critica la Cina per la concorrenza sleale, ma i rapporti tra Unione europea e Cina e le condizioni dei lavoratori cinesi, la cui mancanza di diritti e tutele è stata sfruttata ampiamente negli ultimi 30 anni da aziende straniere, non sono all’ordine del giorno” spiega il giornalista Simone Pieranni, fondatore dell’agenzia China Files e curatore di podcast per Chora Media.

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“L’anno scorso Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha parlato di “de-risking”, cioè di ridurre il rischio della dipendenza dell’Unione europea dalla Cina attraverso la difesa della sicurezza nazionale e degli interessi dei singoli Paesi – aggiunge Pieranni – il concetto si intreccia con l’economia green dove la Cina, tra batterie al litio, veicoli elettrici e semiconduttori, ha un notevole vantaggio competitivo“.

I BIG ASIATICI

Ma se la Cina tende a sottolineare la mancanza di autonomia dell’Europa dagli Stati Uniti, soprattutto dopo le conseguenze geopolitiche dello scoppio della guerra tra Russia ed Ucraina, ci sono altri partner commerciali asiatici da tenere sempre più in considerazione.

“Si parla molto dell’India, che viene presentata in Occidente, soprattutto in ottica anti-cinese, come la più grande democrazia del mondo, mentre in realtà è governata da un induista estremista” spiega Pieranni, che ha vissuto in Cina dal 2006 al 2014, ma è un profondo conoscitore di tutto il Continente asiatico.

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“Il Giappone, sicuramente schierato dalla parte degli Usa nella diatriba con la Cina, ha accordi importanti con l’Unione europea e l’Italia in particolare – aggiunge – il Giappone è rimasto indietro sul fronte tecnologico e per questo molte aziende americane stanno investendo qui sull’intelligenza artificiale e la produzione dei semiconduttori“.

GLI ALTRI

Ci sono, poi, nel Sud-Est altri Paesi dallo sviluppo economico e sociale interessante con i quali i rapporti dei Paesi europei si limitano a rapporti bilaterali, a volte storici, senza coinvolgere l’Unione europea come istituzione.

“In Occidente negli ultimi anni ha preso piede la moda della Corea del Sud, che con una strategia ben congeniata sta imponendo la propria produzione culturale – racconta Pieranni alle ragazze e ai ragazzi iscritte alla Scuola di formazione politica Alisei – è una democrazia molto giovane e scossa da forti mobilitazioni popolari, come quella femminista”.

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“Meritano grande attenzione anche l’Indonesia, il più grande Paese musulmano del mondo e la Malesia, che è un hub tecnologico di primaria importanza sia per l’Occidente che per la Cina, ma è anche sede principale della finanza islamica – continua il giornalista che ha lavorato anche per “Il Manifesto” – c’è, poi, il Vietnam, che è una piccola Cina a livello manifatturiero, ma considerato alleato degli Usa”.

LE PROSPETTIVE

In un’economia globale che corre veloce l’Unione europea deve fare scelte precise se vuole accelerare. “L’Ue non può competere sui bassi costi del lavoro, ma deve puntare sulla qualità e sull’eccellenza mettendo a disposizione infrastrutture adeguate che permettano alle aziende di nascere e crescere” afferma la Senior Advisor per gli affari esteri dell’European Trade Union Confederation.

“Fino ad ora si è pensato solo ad aprire nuovi mercati, mentre bisogna utilizzare la politica commerciale come uno strumento di politica estera, anche imponendo condizionalità che riguardano aspetti ambientali e sociali – conclude Crasta – è necessario sostenere la reindustrializzazione dell’Europa, riscrivere le regole del commercio internazionale e riformare il WTO (Organizzazione del commercio internazionale, Ndr)”.

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