Monza, allo Sporting Club il reporter di guerra Fausto Biloslavo racconta 40anni di conflitti

Davanti ad una platea di più di 80 persone, il noto giornalista e reporter di guerra ha toccato vari argomenti di discussione tra cui la sua esperienza personale nei conflitti più caldi degli ultimi quarant’anni, dall’Afghanistan all’Ucraina, e il ruolo del giornalismo nei contesti più difficili.
Monza. Voce stanca ma sicura, sguardo sempre rivolto agli ascoltatori e piglio deciso, quasi provocante. Il tono è lo stesso dei suo tanti reportage realizzati su fronti di guerra in giro per il mondo. Cambia la cornice: lo Sporting Club di Monza, tanto lontano dai conflitti eppure, nella serata di mercoledì 15 maggio, così vicino grazie alla testimonianza di Fausto Biloslavo, veterano del giornalismo di guerra da quarant’anni impegnato per dare voce a chi, spesso, non ce l’ha.
Ad organizzare la serata i Lions Club Monza e della Brianza e in particolare i Lions Club Monza Duomo. L’obiettivo non solo di mostrare luci e ombre di un mestiere così difficile, come quello del reporter, ma anche di sensibilizzare su uno dei tanti service svolti, a livello internazionale, dai Lions International: “Cuori accesi per l’Ucraina“. Un’inziativa che vede coinvolti 26 Paesi e alla quale si può liberamente contribuire per la produzione e consegna di stufe, prodotte in Finlandia, nei villaggi ucraini più colpiti dalla guerra.

Sempre sui fronti più caldi del mondo, oltre 7mila articoli accompagnati da foto e video pubblicati sulle maggiori testate italiane e internazionali. Biloslavo, 62 anni, di Trieste dove si è diplomato all’istituto nautico, sposato, con una figlia, realizzò i suoi primi reportage all’inizio degli anni Ottanta prima in Libano, poi in Afghanistan insieme agli amici Almerigo Grilz (ucciso nel 1987, in Mozambico, da un proiettile vagante durante un reportage) e Gian Micalessin con i quali fonda la società Albatross Press Agency. Quaranta giorni di foto e testimonianze con i mujahedden che Biloslavo ricorda con una nota di nostalgia. Arrivano i primi soldi, è l’inzio di una storia che, ad oggi, non si è ancora conclusa.
La passione e gli “occhi della guerra”
Fausto Biloslavo si racconta allo Sporting Club davanti a un’ottantina di persone e per farlo parte delle origini, dal desiderio ragazzo di una vita avventurosa fino a diventare gli “occhi della guerra” (titolo di un suo libro pubblicato nel 2007) per migliaia di persone nel mondo: da Libano e Afghanistan dove viene incarcerato per mesi, nell’87, all’Iraq e all’ex Jugoslavia fino ai più recenti conflitti in Ucraina e Medio Oriente.

“Come sono arrivato ad appassionarmi agli scenari di guerra, luoghi oscuri dell’umanità? – esordisce Biloslavo. “Quando portavo i calzoni corti e stavo sui banchi di scuola del nautico di Trieste, sfogliavo un fumetto di allora, Corto Maltese, un personaggio avventuroso e sognavo una vita avventurosa, girando il mondo per raccontare storie, portare alla luce del sole testimonianze e magari anche sbarcare il lunario. Penso di avercela fatta, di essere riuscito a diventare i vostri occhi sulla guerra. Gli occhi della guerra sono quelli dei soldati bambini ma anche dei feriti e io mi sono abituato a guardarli negli occhi: sentono scivolare via la vita, sanno che non ce la faranno ma hanno uno sguardo tale da farti capire quanto l’essere umano si aggrappi alla vita. Ma gli occhi della guerra sono anche quelli dei prigionieri catturati, a volte torturati e uccisi, dei civili che scappano… Noi giornalisti cerchiamo di raccontarvi questo lato oscuro dell’umanità e non è facile”.
E ancora: “Quarant’anni di reportage… Siamo partiti ancora con il Muro di Berlino in piedi, negli anni 80, quando si raccontava ancora con la macchina da scrivere e pensavamo che il mondo fosse bianco e nero. In realtà ci eravamo sbagliati. Il mondo, i conflitti, hanno tante sfumature di grigio e non si possono dividere buoni e cattivi con l’accetta. I cattivi stanno da entrambe le parti”.
Il volto della guerra: l’esperienza in Ucraina e Medio Oriente
“Se c’è una guerra che è diventata un pò la mia guerra, vissuta non solo dal 2022 ma anche da prima, da quando è iniziata veramente con la rivolta di Maidan, la presa dei russi della Crimea e l’inizio del conflitto in Donbass è quella in Ucraina – racconta Biloslavo. “Ci ho passato tanti, forse troppi mesi. A un certo punto però sono tornato a casa, avevo sentito il fischio della 50esima granata, quando l’unica soluzione è quella di buttarsi a terra. Mi sono detto: non sfidare troppo il destino. Dopo però sono tornato diverse volte…”.

Sullo schermo, tra una parola e un’altra, un breve spezzone di un filmato intitolato “Sul filo del rasoio”. Un titolo non casuale dopo una vita passata sul filo del rasoio e, in particolare, dopo i mesi trascorsi in Ucraina, dove si svolge una guerra nel cuore dell’Europa, convenzionale, con un enorme numero di feriti e caduti.

“Ho trascorso nel Dombass, sulla linea del fronte, un periodo con quelli che ho chiamato “i morituri”, una squadra che doveva dare il cambio in trincea. Non potevano resistere più di tre quattro giorni, massimo cinque in quelle trincee molto ravvicinate dove il fuoco era intensissimo. Andreij, come tutti gli altri, scriveva il nome in più punti sulla mimetica così, se fosse stato colpito da una granata, tutti gli arti sarebbero tornati alla famiglia. I primi cinque venivano tirati a sorte, perché i primi cinque erano o morti o feriti… Quello in Ucraina è stato un conflitto molto difficile da raccontare. Ho sempre pensato che il nostro lavoro sia quello del cronista. Noi dobbiamo andare sul campo senza paraocchi, con serietà e onestà professionale. In Ucraina non sempre era facile farlo, superando i veli della propaganda che in ogni conflitto gioca un ruolo importante”.
“In Medio Oriente mi hanno mandato a fare un tour di guerra in novembre, in Israele, e sono stato un mese. Ho posto una condizione però: va bene, io vado, ma non aspettatevi che vi faccia sentire solo una campana. E ho trascorso una settimana con gli israeliani e una con i palestinesi in Cisgiordania perché a Gaza era quasi impossibile entrare. Un paio di servizi. Due facce opposte della stessa medaglia. Dicono e vivono le stesse cose, per entrambi è una guerra esistenziale”.