Reflusso gastroesofageo. Ne soffre il 30% della popolazione. L’importanza di una diagnosi precoce

14 maggio 2024 | 06:00
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Reflusso gastroesofageo. Ne soffre il 30% della popolazione. L’importanza di una diagnosi precoce

La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) è una delle più comuni malattie dell’apparato digerente e interessa circa il 30% della popolazione dei paesi industrializzati, compresa l’Italia.

Studi recenti indicano che a soffrirne siano un miliardo di persone in tutto il mondo; secondo l’Istituto Superiore di Sanità, almeno una persona su 3 è affetta da questo disturbo in modo intermittente o continuo e le probabilità di comparsa crescono con l’aumentare dell’età, sebbene ne soffrano di frequente anche neonati e donne in gravidanza.

La malattia, oltre a incidere negativamente sulla qualità di vita, può evolvere anche in complicanze come l’esofagite (35%) o l’esofago di Barrett (10%), un’alterazione delle cellule che compongono il tessuto dell’esofago con rischio associato di adenocarcinoma, un tumore maligno altamente aggressivo.

Reflusso gastroesofageo: di cosa si tratta

La MRGE è una condizione in cui il contenuto dello stomaco risale nell’esofago in una quantità e frequenza tali che questo non riesce a liberarsene e autopulirsi in maniera efficiente. Ciò si verifica quando la valvola inferiore (sfintere esofageo inferiore) dell’esofago non funziona correttamente, determinando una risalita del materiale dallo stomaco.

La diagnosi: i principali esami e procedure

La diagnosi di malattia da reflusso gastroesofageo si basa sulla valutazione dei sintomi e sull’esecuzione di alcuni esami strumentali quali:

– la gastroscopia: volta a esaminare la parete dell’esofago, dello stomaco e del duodeno, per diagnosticare eventuali patologie gastrointestinali;
–  la pH-metria, con cui si misura il pH all’interno dell’esofago per valutare l’intensità e la frequenza del rigurgito acido;
– la manometria esofagea, con cui si valuta la motilità esofagea e la funzionalità degli sfinteri esofagei, attraverso la misurazione delle pressioni presenti nell’esofago;
– la radiografia del tubo digerente con mezzo di contrasto: permette di valutare l’anatomia delle prime vie digestive e il transito del mezzo di contrasto attraverso gli organi esaminati;
– la pH-impedenziometria esofagea: consente di valutare la presenza di reflussi gastroesofagei acidi e non acidi per 24 ore; permette, inoltre, di accertare se vi sia correlazione tra i sintomi del paziente e gli eventuali reflussi.

Il ruolo del gastroenterologo

Aspettare non è produttivo: frequenza e intensità dei reflussi possono assumere una valenza patologica e questa infiammazione, col tempo, può evolvere fino a danneggiare il tessuto dell’esofago. Quando la sintomatologia tende a diventare cronica e a verificarsi più volte nell’arco di una settimana è il caso di rivolgersi al gastroenterologo.

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