L'intervista

Meda, “la mia famiglia bloccata nell’inferno del Bangladesh”. Il grido d’aiuto di Babar

Il bengalese Babar, cittadino medese da 27 anni, vuole organizzare una manifestazione al Consolato di Milano per dire stop al massacro degli studenti in Bangladesh. Sua moglie i suoi tre figli, partiti per le vacanze estive, sono bloccati: "non riesco a mettermi in contatto con loro".

Babar
Il medese Babar

Meda. “Quello che sta succedendo è drammatico”. Queste sono le parole di Babar, cittadino medese originario del Bangladesh in merito a quello che sta accadendo in questi giorni nella sua Paese di origine dove, da lunedì 15 luglio, sua moglie e i suoi tre figli sono bloccati. “Ho riportato la mia famiglia in Bangladesh per le vacanze estive – ci racconta al telefono – la manifestazione degli studenti era pacifica, poi tre giorni fa tutto è cambiato: sono iniziati gli scontri, gli spari, le persone sono costrette in casa e non c’è più internet quindi ho difficoltà anche a mettermi in contatto con la mia famiglia”.

Da settimane nel paese ci sono manifestazioni soprattutto contro il sistema di assegnazione degli impieghi nel settore pubblico. Da lunedì, poi, la drammatica svolta: solo ieri, giovedì 18 luglio, sarebbero morti almeno 32 giovani. “Un ragazzo a cui hanno sparato aveva solo 16 anni, mia figlia ne ha 17”, commenta Babar che ha deciso di fare qualcosa contro questa situazione. La sua volontà, infatti, è quella di organizzare una manifestazione davanti al Consolato per far sentire la voce dei tanti cittadini originari del Bangladesh. “Sto aspettando la conferma ufficiale da parte della Questura – ci dice – vorremmo manifestare già questa domenica mattina, saremo oltre 300 persone”.

Babar
i tre figli di Babar poco prima della partenza per il Bangladesh

COSA STA SUCCEDENDO IN BANGLADESH?

“Una cosa così non si vedeva nel nostro Paese dal 1971”, ci spiega Babar, a Meda da oramai 27 anni, “pochi giornali italiani ne stanno parlando”. Ma cosa sta succedendo esattamente? Cerchiamo di fare chiarezza.

Gli studenti bengalesi stanno protestando da settimane contro un sistema di assegnazione degli impieghi nel settore pubblico che reputano discriminatorio e che vorrebbero sostituire con uno basato sul merito. Per una legge degli anni Settanta, infatti, in Bangladesh il 30 per cento di questi posti di lavoro è riservato ai familiari dei reduci della guerra di indipendenza dal Pakistan del 1971. Ogni anno 400mila laureati competono per 3mila posti di lavoro.

L’intensità della protesta sta crescendo di ora in ora, il numero delle vittime sale così come quello dei feriti (oltre 700). “Ho difficoltà a parlare con mia moglie – ci spiega ancora Babar – perché internet non va. Loro sono chiusi in casa e non sanno bene cosa sta accadendo fuori perché anche le emittenti televisive non vanno”. Pare, infatti, che i manifestanti abbiano appiccato il fuoco e compiuto atti vandalici contro gli uffici della televisione statale BTV e dell’agenzia nazionale per la gestione dei disastri.

DA MEDA A MILANO PER DIRE BASTA AL MASSACRO DEGLI STUDENTI

“Una vera e propria guerra – continua il medese – sparano a vista contro i ragazzi. Prima erano solo giovani universitari, poi si sono aggiunti anche quelli delle superiori. E’ una situazione drammatica”.

massacro studenti Bangladesh
l'immagine social che molti bengalesi stanno condividendo sui loro profili facebook

Come mai allora la decisione di partire per il Bangladesh proprio in un momento così delicato per il Paese, chiediamo a Babar: “come detto all’inizio si trattava di una manifestazione pacifica, i manifestanti camminavano per le strade, si poteva andare in giro tranquillamente a piedi – ci racconta – nessuno ci ha avvisato che era meglio non partire. Da quello che ho letto, so che invece molti bengalesi residenti in America sono stati informati. La mia famiglia dovrebbe rientrare in Italia il 14 agosto, ma al momento tutti i voli sono bloccati”.

 

 

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