Seveso, 10 luglio 1976: 48 anni fa l’estate della Diossina

10 luglio 2024 | 08:30
Share0
Seveso, 10 luglio 1976: 48 anni fa l’estate della Diossina
Una immagine del fumetto "Strade senza uscita"

48 anni fa il disastro dell’ICMESA che causò la fuoriuscita e la dispersione nell’atmosfera di una nube di diossina TCDD tra Meda e Seveso. Di quell’area si parla ancora oggi, soprattutto in relazione al progetto di Pedemontana.

Appartiene ormai alla storia della Brianza e dell’Italia la data del 10 luglio 1976. Per i più è una data nota con l’espressione “il disastro di Seveso”, per altri è “l’estate della diossina” o “la vicenda ICMESA”. Sono passati esattamente 48 anni dal grave incidente nell’azienda chimica ICMESA – Industrie Chimiche Meda Società Azionaria – situata al confine tra Seveso e Meda, che causò la fuoriuscita di una nube tossica di diossina. A quasi 50 anni da quella giornata, è considerato il più grave disastro ambientale mai avvenuto in Italia e le sorti di quell’area proprio in questi ultimi anni sono al centro del dibattito più divisivo della Brianza: l’autostrada Pedemontana.

Il contesto

L’ICMESA era un’industria chimica di proprietà svizzera che aveva un grande stabilimento a Meda, al confine con il comune di Seveso: lavorava prodotti chimici di base e prodotti farmaceutici. Arrivata nel territorio appena dopo la Guerra, è il 1945, non passa troppo tempo prima che dai residenti arrivano i primi allarmi sull’attività. Come ricostruisce Marina Rossi nel suo resoconto Seveso 1976: storia del disastro dell’Icmesa, già dal 1948 si erano sollevate le proteste della popolazione di Seveso in merito ai gas e agli odori provenienti dal torrente Certesa (o Tarò) che erano da attribuirsi anche agli scarichi della fabbrica. Della vicenda se ne interessò a più riprese anche il consiglio comunale di Seveso e quello di Meda e sui prodotti chimici che erano lavorati e prodotti all’interno dello stabilimento, nonché sulla qualità delle acque limitrofe, si espresse con preoccupazione anche l’allora Provincia di Milano dopo “ripetuti sopralluoghi”. Come ricostruisce il Post, nel 1974 il direttore tecnico dell’ICMESA fu denunciato per aver «corroso ed adulterato acque sotterranee destinate alla alimentazione rendendole pericolose per la salute pubblica». Dopo una serie di analisi la Provincia confermò le accuse, ma il direttore fu assolto per «insufficienza di prove».

Il 10 luglio 1976, il disastro di Seveso

Il 10 luglio 1976, giorno festivo, alle ore 12.37 il sistema di controllo di un reattore chimico andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. L’alta temperatura provocò una reazione che portò a sua volta alla formazione di TCDD, uno dei tipi di diossina più tossici e pericolosi e che da quel momento in Italia è conosciuta come “diossina di Seveso”. La TCDD fuoriuscì nell’aria e si disperse trasportata dal vento. La nube tossica colpì i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio.

Il fatto, che si sarebbe poi rivelato gravissimo per i residenti dei comuni investiti, non venne rivelato immediatamente né ai cittadini, né ai sindaci dei comuni coinvolti. Secondo le ricostruzioni, il primo a saperlo fu il sindaco di Seveso di allora, Francesco Rocca, che ricevette la visita di due tecnici dell’ICMESA due giorni dopo. Il 17 luglio l’incidente divenne notizia: lo raccontò la stampa locale e nazionale. L’ICMESA venne chiusa il 18 luglio. I primi giorni dopo l’incidente vennero presi cauti provvedimenti: vennero affissi dei manifesti per avvisare i cittadini di Meda e Seveso di non toccare ortaggi, terra, erba, animali e «di mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti». Solamente quattordici giorni dopo la fuoriuscita della nube tossica, cominciarono le evacuazioni e furono stabiliti divieti più severi per i cittadini: analisi fatte dalla casa madre dimostrarono la presenza notevole di TCDD nella zona maggiormente colpita dalla nube tossica. I casi d’intossicazione aumentano, i più colpiti furono i bambini. Si diede quindi nome ad una malattia finora quasi sconosciuta che si manifestava sul volto e sulla pelle: la Cloracne.
Le cronache di allora raccontano che complessivamente furono allontanate dall’area circa 700 persone (soprattutto di Seveso) per un totale di 200 famiglie e la zona evacuata e recintata interessò una superficie di oltre 100 ettari, con uno sviluppo perimetrale di 6 chilometri. Il primo bilancio relativo agli animali morti, abbattuti o usati per esperimenti ammontò a 2.953. Saranno infine molti, molti di più.

E dopo?

Il 2 giugno 1977 il Consiglio Regionale della Lombardia approvò i 5 programmi di intervento per bonificare il territorio inquinato. La realizzazione fu affidata all´Ufficio Speciale per Seveso. Abbandonata l´idea di costruire un forno inceneritore per eliminare il materiale inquinato, tra il 1981 e il 1984, furono costruite due vasche impermeabilizzate a Meda e Seveso dove depositare il materiale contaminato. Nel 1983 si decise di progettare, in quella che era stata la zona più colpita, un parco: si tratta del futuro Bosco delle Querce, che sorge sulle due “colline” delle vasche, a Meda e Seveso e racchiude a decine di metri di profondità la storia – fisica – di quello che è stato il disastro dell’ICMESA.

bosco-querce-uff-stampaUno scatto del Bosco delle Querce

Contemporaneamente si aprì un grande processo sia civile che penale, che portò ad una serie di risarcimenti sia alla Regione (per la spesa di bonifica), sia per i danni subiti dai privati. Ancora oggi si attribuiscono malattie e tumori alle sostanze chimiche rilasciate dopo l’indicente.

Di ICMESA e Bosco delle Querce si parla ancora oggi

Il disastro ebbe notevole risonanza pubblica, a livello europeo ed internazionale: il Time mise la Seveso Dioxin Cloud tra i 10 peggiori disastri ambientali della storia. Il caso ICMESA portò alla creazione della direttiva 82/501/CEE, nota anche come Direttiva Seveso, una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali che divenne legge in Europa nel 1982 ed adottata dall’Italia nel 1988.

Oggi intorno al Bosco delle Querce lo spettro della diossina è tornato ad aleggiare sospinto dalla questione Pedemontana, la maxi autostrada che divide cittadini e politici e che dovrebbe passare proprio a ridosso del Bosco, su aree ancora contaminate che devono essere sottoposte a bonifica. Già dal 2010 Legambiente e tante altre associazioni ambientaliste, civiche, comitati si battono affinché l’area non venga toccata da cantieri che tuttavia ormai sembrano imminenti. Proprio ieri, i vertici di Pedemontana, durante il Tavolo Permanente con Comuni, enti terzi, civiche e associazioni ambientaliste, spiegava che i cantieri per le operazioni di bonifica potrebbero partire per la fine di luglio, propedeutici alla realizzazione dell’autostrada. “Questa volta l’attacco non arriva da una fabbrica, ma dal cantiere di una autostrada, la Pedemontana, che passerà proprio a ridosso del Bosco delle Querce portando nuove devastazioni ad un territorio soffocato”, si legge in una nota di Legambiente.

Oggi a battersi per la causa ambientalista è anche il Coordinamento No Pedemontana cheha chiesto alla società più trasparenza nella comunicazione, in particolare nel dare informazioni ai cittadini sul piano di bonifica dei terreni, preliminare ai lavori, e sui rischi per la salute. Il progetto dell’autostrada, ricordiamo, prevede il passaggio, con la tratta B2,  sui territori di Seveso e Cesano Maderno, che sono già stati interessati dalla contaminazione da diossina a seguito del disastro dell’ICMESA del 1976. Proprio da Cesano Maderno partiranno le operazioni di bonifica.