Intervista

“Semplicemente Peo”: storia di motori per tutta la vita. Intervista all’autore Walter Consonni

Il libro "Semplicemente Peo" ripercorre la vita del monzese Giampiero Consonni durante un'automobilismo d'altri tempi e il legame con i fratelli Brambilla.

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Foto provenienti dall'archivio di famiglia - Copertina di Enrico Mapelli

Una vita dedicata ai motori e racconti di un motorsport che ormai non esiste più. Un rapporto famigliare con i fratelli Brambilla e un legame indissolubile con l’Autodromo di Monza. Questo il contenuto del libro “Semplicemente Peo – Storie di aspirazioni, compressioni, scoppi e scarichi” che ripercorre la carriera automobilistica del monzese Giampiero Consonni. Pilota, collaudatore, meccanico, istruttore, magari a corto di quattrini ma non di ingegno e talento.

Walter Consonni, ex-allenatore delle squadre azzurre di ginnastica artistica e scrittore con la passione per l’automobilismo, dedica così una biografia al fratello come “omaggio alla sua vita: dalla fanciullezza a quando era garzone in un garage di Monza, poi meccanico per Tino e Vittorio Brambilla, ma anche pilota e formatore di giovani”.

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Da destra, Peo Consonni e Walter Consonni durante Aspettando Confartigianato Motori

Da un’idea nata per scherzo, ma che per Walter è sembrato “un obbligo morale” nei confronti del fratello, sono nate pagine e pagine di racconti autentici sia di goliardie che di momenti di rabbia per fotografare quello che Peo è stato: “un’opera unica che andrà in mano a figli, nipoti e a chi verrà dopo nella famiglia”. Una sorpresa per i settant’anni di Peo che vede anche prefazione e postfazione firmate da Giorgio Teruzzi e Pino Allievi.

“Semplicemente Peo”, intervista a Walter Consonni su un’automobilismo d’altri tempi

Qual era il rapporto con i Brambilla?

Peo aveva un rapporto di figliolanza, più figlio del Tino che del Vittorio perché purtroppo è mancato presto. Avrebbe due padri putativi. Tino ci è stato vicino fino alla sua morte nel 2020 ed è stato veramente un padre. Per me un grande amico, un padre aggiunto viste anche le confidenze che ci scambiavamo avendomi anche nominato autore della sua biografia. Una frase fantastica che mi ha detto in quel periodo è stata “se io ti avessi avuto come direttore sportivo, sarei diventato campione del mondo”: aveva capito che aveva sempre fatto di testa sua, testardo qual era, gran meccanico e pilota, ma sempre diretto e mai diplomatico non attento alla politica di certi ambienti. Entrando a gamba tesa spesso non veniva preso in considerazione nonostante fosse un gran talento”.

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Foto provenienti dall'archivio di famiglia

Lei e suo fratello avete vissuto l’età d’oro dell’automobilismo, quella che molti definiscono più vera, genuina, ruspante: da appassionato, da frequentatore di quegli ambienti come ha vissuto l’evoluzione dell’automobilismo fino a quello che è oggi?

L’ho vissuto male perché ero abituato a quell’età d’oro che poteva dare soddisfazioni anche a un bambino come me. Mi ricordo che una volta andai a vedere un gran premio in tribuna centrale di fianco al palchetto delle autorità con presente il presidente della Repubblica: ero lì di fianco in piedi e nessuno mi ha cacciato via. Oppure nel 1969 io e Peo alla 1000 Chilometri di Monza entrammo nel box della Ferrari durante la corsa: ci siamo messi lì accucciati e durante un cambio gomme e pilota passavano i meccanici con le gomme sottobraccio e chiedevano a noi ‘permesso, scusate’ perché dovevano passare. Adesso non puoi entrare se non hai un super pass elettronico e se non sei un milionario o un personaggio che conta del mondo d’orato e finanziario della Formula 1. Era un’esagerazione essere lì, ma noi siamo cresciuti così. Andavamo a vedere le prove private della Ferrari e abbiamo visto Enzo Ferrari che non veniva fatto passare perché non riconosciuto da un addetto ai cancelli. Ferrari andò nella vecchia direzione gara incavolatissimo e venne fuori il direttore di pista che insultando l’operaio disse ‘Questo signore non è Ferrari, è La Ferrari per cui deve entrare assolutamente. Peo ogni volta che c’era la Ferrari andava a chiedere l’autografo a Enzo Ferrari che accettava volentieri come se fosse ancora un pilota e non quel mito che è stato come costruttore. Quindi l’ho vissuto male questo cambiamento, sono riuscito a rifarmi la bocca quando pubblicato il libro di Tino Brambilla nel 2015 abbiamo fatto la presentazione nella casetta Beta in Autodromo il giovedì prima del gran premio. C’erano tutti i team e i giornalisti che contano quando a un certo punto una nostra amica dell’Autodromo ci ha detto di aver incontrato Frank Williams il quale chiedeva perché il Tino Brambilla non fosse venuto da lui con il suo libro. Perché non avevamo il pass elettronico! Ci hanno procurato dei pass e siamo andati a trovare Frank Williams che lo ha salutato in italiano”.

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Foto provenienti dall'archivio di famiglia

Monza ‘Città dei Motori’ come è cambiata nel corso del tempo? Qual era la percezione dell’Autodromo?

Fin da prima che nascesse l’Autodromo c’era già lo scontro tra i verdi e i rappresentanti dell’industria dell’automobile. Questa diatriba è nata prima che nascesse l’Autodromo ed è cresciuta con lui con le modifiche che sono state apportate al Tempio della Velocità. Riconosciuto tale non solo da noi, ma da tutto il mondo. Una volta infatti quando ero ad Indianapolis e scoprirono che ero di Monza mi fecero i complimenti per provenire dalla seconda pista più importante al mondo. Il senatore Crespi infatti per la costruzione del tracciato disse che voleva una pista che richiamasse Indianapolis. L’essere secondi al mondo non è però la percezione che hanno ora i dirigenti ACI a Roma e questo mi rattrista molto, non è soltanto una questione di verde e di parco perché allora chiamerei come consulenti gli inglesi che hanno parchi meravigliosi con circuiti altrettanto belli. Noi italiani purtroppo andiamo dietro un soffio di vento, una bandiera, ma poi ci accorgiamo dopo che avremmo potuto ragionare diversamente. Potrebbero convivere: rispetto il parco e l’Autodromo, ma non rinuncerei a nessuno dei due“.

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Foto provenienti dall'archivio di famiglia

Non è stato ancora firmato il rinnovo del contratto con la Formula 1: Monza senza F1 è una paura?

No, se rimane il circuito. Perché la Formula 1 secondo me non ha ben chiaro il suo futuro, finche è supportata dalle televisioni e dai soldi dei diritti televisivi può cantar vittoria. Nel momento in cui cede il passo, faccio un esempio, alla Formula E o Le Mans Monza può sopravvivere anche per tutto il resto delle categorie che seguono uno sviluppo moderno e utile per il futuro come l’uso dei carburanti alternativi. Rimane un circuito non solo per fare l’invasione dopo il Gran Premio di Formula 1, vediamo sotto anche un altro aspetto: può vivere anche senza Formula 1. Negli anni d’oro fino agli ’70 quando si organizzava la 1000 Chilometri e il Gran Premio delle Nazioni del motociclismo c’erano più spettatori che al gran premio di Formula 1. Allora contava di più la vendita dei biglietti che la televisione”.

Nella sua carriera Peo è stato anche un costruttore con la Consonni PC1 in Formula 3. Cosa rappresentava questo momento e secondo lei questa impresa è replicabile oggi?

“È stato un momento romantico perché Peo con l’età che avanza capisce che riesce a correre magari con un po’ più di fatica e sempre meno soldi. Correndo in Formula 3 Peo ha tante belle idee tecnicamente e vede che le macchine di Formula 1 si sviluppano e fanno da esempio per le categorie minori. Mette allora mano alla macchina, la collauda di persona portandola in pista e facendola correre, ma ci sono stati diversi problemi e incidenti con anche una squalifica. Non potendo gareggiare, alla guida salì un pilota giapponese che però distrusse la macchina in un incidente e l’avventura si conclude lì. Adesso la vettura è appesa alla parete del Pit Stop Café di Vedano. Ha costruito poi altre macchine ed elaborato motori per tutta la vita: dalle Petarelle, il soprannome della Formula 875 Monza, alle Alfa Romeo e Lamborghini di Carlo Chiti. Credo però che sia molto improbabile che qualcuno costruisca delle macchine artigianalmente oggi. Magari per fare delle repliche e divertirsi, ma non per competere”.

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Foto provenienti dall'archivio di famiglia

L’obiettivo di Peo era raggiungere la Formula 1. Cosa è mancato per raggiungere la massima serie?

Ti rispondo come avrebbe risposto Tino Brambilla: ‘I dané!’. Era già partito per fare una corsa a Silverstone, ma li hanno fermati prima ancora di arrivare in Inghilterra perché lo sponsor non aveva mandato un assegno e non avevano neanche i soldi per scaricare la macchina. Questa è l’avventura di Peo in Formula 1. C’era molta stima da parte dei Brambilla nei confronti di Peo, sempre con il consiglio di Vittorio ‘tenere giù il piede, ma non fare danni’, purtroppo però non ha potuto metterla in pratica per mancanza di soldi“.

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