Sciopero Avicel di Limbiate. Sindacati: “pesante impatto sociale”

Un esubero di 27 dipendenti su 70. A causa di una crisi aziendale, l’Avicel di Limbiate punta al licenziamento collettivo di un organico che è principalmente composto da donne, over 45. Poca trasparenza, clima “tossico” e incentivazioni intollerabili. Ecco cosa sta succedendo nell’azienda di Limbiate
Limbiate. Cresce la tensione alla Avicel di Limbiate, azienda operante nel settore dell’elettronica industriale e dove questa mattina, martedì 5 novembre, si è svolto il presidio delle lavoratrici e dei lavoratori, insieme alla RSU e alle organizzazioni sindacali. Seppur non ancora formalizzato tramite PEC, l’azienda pare avere tutte le intenzione di attuare un piano di licenziamento collettivo che coinvolge 27 dipendenti, su un totale di 70. “L’organico di questa azienda, sul territorio dal 1985, è quasi tutto femminile – ci spiega Stefano Sanvito, operatore FIM CISL – l’età media di queste lavoratrici è dai 45 anni in su, e alcune di loro hanno un’anzianità aziendale che supera i 20 anni. Questi tre elementi, insieme, rendono ancora più difficile un loro possibile ricollocamento nel mondo del lavoro, nel contesto sociale in cui attualmente ci troviamo”.
PRESIDIO AVICEL: DAL CALO PRODUTTIVO ALLA CRISI AZIENDALE. COSA STA SUCCEDENDO?
Questa mattina, le lavoratrici e i lavoratori, si sono dati appuntamento davanti alla sede di via Monte Rosa 27 per manifestare il proprio dissenso e chiedere, insieme ai rappresentati sindacali, alternative al licenziamento collettivo. Inizialmente nel corso del 2024, l’Avicel di Limbiate aveva dichiarato un calo produttivo e quindi aveva avviato le procedure per la Cassa Integrazione Ordinaria. Le cose però sono poi repentinamente cambiate dopo l’estate: “a settembre la Cassa Integrazione è passata da Ordinaria a Straordinaria – ci spiega ancora Sanvito – motivazione: crisi aziendale e conseguente taglio del personale. Nessuno si aspettava misure così socialmente drammatiche, soprattutto con queste tempistiche. Infatti – conclude – noi abbiamo chiesto che la CIGS avesse una durata di almeno di 12 mesi, per avere tutto il tempo di poter utilizzare gli strumenti per ridurre l’impatto sociale delle lavoratrici e dei lavorati. Ma l’azienda ha fatto una controproposta di soli 6 mesi. Grazie alla Regione, che ha subito sposato la causa, siamo riusciti a raggiungere un accordo di 8 mesi”.
DITO PUNTATO CONTRO L’AZIENDA: “COMPORTAMENTO SCORRETTO E POCA TRASPARENZA”.
Una comunicazione di crisi aziendale non basta. “Bisogna dare più dettagli, più specifiche, perché l’impatto sociale di un possibile licenziamento collettivo è molto alto – sottolinea Stefano Sanvito – è stato difficile recuperare tutte le informazioni, solo dopo diverse telefonate e mail siamo riusciti ad ottenere qualcosa in più che spiegasse le motivazioni della crisi. Un atteggiamento poco trasparente secondo noi da parte dell’azienda”.
Ma non l’unico muro da superare. I sindacati, infatti, fanno sapere che la Direzione Aziendale avrebbe creato un clima tossico tra i propri dipendenti, spaccando il gruppo ulteriormente. Come? “L’azienda ha unilateralmente proceduto a rassicurare alcuni/e dipendenti in merito al proprio futuro occupazionale, cercando di creare una spaccatura tra le lavoratrici e i lavoratori, condizionando di fatto l’intera discussione e “drogando” il clima aziendale – spiega – oggi, però, al presidio erano tutti presenti. Anche coloro che verbalmente hanno ricevuto tali rassicurazioni”.
A questo si aggiunge anche il problema della forma di incentivazione, “inacettabile”, secondo i sindacati. “Nel corso dell’ultimo incontro di mercoledì 30 ottobre, la Direzione Aziendale si è presentata con una proposta inaccettabile (misura di incentivazione) che riteniamo offensiva nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori e totalmente fuori dai binari del percorso definito dall’accordo. Stiamo parlando di forse due mensilità”, dichiara Sanvito.
E ADESSO, QUAL È IL PROSSIMO STEP?
E’ fissato per venerdì mattina, 8 novembre, il prossimo incontro con la Direzione Aziendale. “Vogliamo discutere con loro della possibilità di ridurre il numero di esuberi, cercare soluzioni per ricollocare personale in altri reparti aziendali – conclude l’operatore di FIM CISL – L’azienda ha una responsabilità sociale a cui non può venir
meno, una realtà aziendale dove l’organico è prevalentemente femminile – in un mondo del lavoro in cui ancora oggi si deve lavorare ancora molto sul gender pay gap
e le opportunità di occupazione – e con un’età media anagrafica che nel mercato del lavoro odierno non aiuta la rioccupabilità”.