Un’infermiera brianzola lancia un appello dall’Africa per salvare gli occhi dei neonati

Alice Pini lavora come infermiera nel reparto di neonatologia dell’ospedale di Maputo, in Mozambico, e sta raccogliendo mascherine di stoffa per gli occhi, per i neonati sottoposti alla fototerapia. “Ora non avendo alternative usano il cartone”
“Sei bravo o brava a cucire? Abbiamo bisogno di mascherine per gli occhi”. E’ l’appello lanciato da Alice Pini, giovane infermiera brianzola impegnata in un progetto di tre anni all’ospedale diMaputo, in Mozambico, con l’associazione Auci. Rientrata dall’Africa e pronta a partire di nuovo a febbraio, l’infermiera si fa portavoce di un’esigenza del reparto di neonatologia natale, dove lavora. “I neonati dell’ospedale di Maputo, quando sono sotto la lampada della fototerapia, usano degli occhiali ritagliati nel cartone o ricavati dalle mascherine chirurgiche. Servono delle mascherine di stoffa confortevoli e lavabili, per proteggere gli occhi dei piccoli” spiega. Da qui, l’appello lanciato a chiunque sia capace di cucire: “Abbiamo tanti bisogni in ospedale, questo è uno: i neonati hanno bisogno di mascherine di stoffa, ma il materiale costa e quindi ho deciso di chiedere aiuto in Italia”.

L’antibiotico per i bimbi ricoverati? Lo devono comprare i genitori
La giovane infermiera ha già avviato in passato diverse raccolte fondi o materiale per l’ospedale di Maputo presso il bar “Dr Creatur” di via Lampugnani a Desio. “Il materiale e le risorse purtroppo scarseggiano e rendono complicato il lavoro infermieristico e medico” spiega Alice. “Faccio un esempio: se un bambino viene ricoverato e ha bisogno di prendere un antibiotico, sono i genitori che devono comprarlo, perchè l’ospedale non lo fornisce. A volte viene chiesto anche di acquistare siringhe per le punture o addirittura il cotone. Altro esempio: i bambini prematuri della neonatologia devono mangiare 8 volte al giorno. Ma non sempre c’è il latte a disposizione. L’ospedale non lo fornisce e i genitori non riescono a comprarlo. Una confezione di 500 grammi costa 13 euro e lo stipendio medio di una persona è di 90 euro al mese. Se manca il latte, il bambino non mangia. E’ un modo di lavorare e vivere diverso dal nostro”.
Il progetto in una delle zone più povere di Maputo
La giovane infermiera lavora all’ospedale di Mavalane, alla periferia di Maputo, tra la popolazione più povera. E’ coinvolta in un progetto di 3 anni, portato avanti dall’associazione Auci in collaborazione con Cuamm e Comunità di Sant’Egidio. Il suo impegno, in particolare, è nelle aree di terapia intensiva neonatale, pediatria, il pronto soccorso pediatrico e maternità. Da volontaria, frequenta anche un orfanotrofio. “Ho iniziato ad occuparmi di una bambina con un’ulcera ad un piede. La sto curando facendole le medicazioni. Di conseguenza, sono entrata in contatto anche con gli altri bambini”.
Se qualcuno può cucire le mascherine o fornire la stoffa necessaria, possibilmente bianca o nera, può contattare il numero 349 263 2638.