Salvi dalla fucilazione, piantano un albero: la storia del monumentale “Piopp de Ambrous”

Siamo nel 1946. La guerra è finita. A Varedo, in un campo proprio accanto a Villa Bagatti, all’epoca quartier generale dei nazisti, vivevano padre e figlio: Carlo e Ambrogio. Vi raccontiamo la storia dei loro pioppi.
Varedo. Sono 207 gli alberi monumentali presenti in Brianza. Giganti verdi custodi non solo di maestosità e bellezza, ma anche di storie lontane. E tra questi, c’è un albero in particolare che è testimone di un periodo storico importante per tutti noi: quello della Seconda guerra mondiale. Si tratta del Pioppo di Varedo, “nato” nel 1946 come simbolo di libertà. I protagonisti di questa incredibile storia sono Carlo e Ambrogio, padre e figlio. A raccontarci del loro pioppo è Saro Sciuto dell’Associazione RAMI che ha raccolto la testimonianza di Ambrogio.
Il Piopp de Ambrous: l’albero simbolo di libertà
“La famiglia di Carlo e Ambrogio vive accanto alla Villa Bagatti, quartier generale dei nazisti in quel di Varedo. Visto l’orientamento politico non in contraddizione con gli obiettivi nazi-fascisti, sono ben conosciuti dal luogotenente locale, e la vicinanza tra i due edifici è talmente esigua da permettere al piccolo Ambrogio di poter guardare perfino nell’aia della storica villa, costruita nel secolo precedente”, spiega Sciuto.
L’inizio di questa storia, però, risale al 10 luglio 1943.
“Ambrogio ha soli 3 anni e 3 mesi: dalla radio un severo quanto speranzoso annuncio recita che gli Alleati sono sbarcati in Sicilia. Il piccolo Ambrogio è accanto al luogotenente e non dimenticherà mai l’espressione del nazista che esclama per ben tre volte un rassegnato: ‘Non va bene, non va bene, non va bene'”.
La guerra e quel pioppo di Varedo piantato per dire “grazie”
Da quell’estate del ’43, i ricordi di Ambrogio fanno un salto fino al 1945: i nazisti sono costretti alla resa e hanno ormai raccattato i loro averi, pronti per imboccare, a una certa altezza, la statale dei Giovi.
“A partenza imminente, un facinoroso antifascista sbuca da un bar e spara, ferendo mortalmente un tale Otto, che muore sul colpo. Il suo corpo resterà nel cimitero di Varedo per oltre 70 anni. La rappresaglia è praticamente immediata: vengono presi in ostaggio dai soldati sette uomini, tra i quali Carlo e suo fratello, pronti per essere giustiziati. Ma la regola nazista dice che devono essere dieci i condannati a morte per ogni singolo tedesco ucciso. Si cercano gli altri tre, ma in giro tutti si sono dileguati come potevano”, racconta ancora Saro Sciuto, che ha raccolto la testimonianza dell’anziano brianzolo.
“Nel frattempo, il caporale tedesco riconosce in mezzo al gruppo Carlo e suo fratello e ordina che queste due persone non vengano giustiziate. Si cercano così inutilmente altri cinque uomini, che furbescamente si erano dileguati in vari nascondigli, chissà dove. La rappresaglia non viene eseguita e il capo ordina che per tre giorni nessuno si facesse vedere in giro e per nessun motivo. L’invito, però, non viene colto da tutti e alcuni curiosi vengono uccisi da infallibili cecchini. La guerra è finita”, conclude.
Come ringraziamento alla vita per essere stati risparmiati, nel 1946, quando Ambrogio ha solo 6 anni, Carlo e il fratello mettono a dimora nel loro campo di Varedo due pioppi, uno accanto all’altro.
Tra i 207 alberi monumentali in Brianza, anche il Pioppo di Varedo
Di quei due pioppi, oggi ne è sopravvissuto solo uno. Ha 80 anni e misura ben 4 metri di circonferenza. Un gigante verde che custodisce un pezzo di storia davvero importante e sicuramente molti ricordi.
Ambrogio accanto al suo pioppo. Foto di Saro Sciuto
“Un albero della libertà? – conclude Sciuto – Ambrogio non lo reputa tale, perché il belligerante lustro ad Ambrogio non ha portato, tutto sommato, dolore, ma il contrario”.