“Mio figlio è un hikikomori, non esce più dalla sua stanza”, la drammatica testimonianza di una mamma

Il fenomeno dei giovani che si isolano nella propria stanza è sempre più diffuso, come testimonia una mamma brianzola. Nel “mese gli hikikomori” parte una campagna di sensibilizzazione.
“La porta della stanzasi chiude e non si riapre più per molto tempo. Nostro figlio non ci ha parlato per più di un anno”. Difficile riuscire ad immaginare cosa possa succedere in una casa in cui un figlio adolescente si chiude in camera e non esce più, per anni. Il fenomeno è quello degli “Hikikomori”, i ragazzi che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale e di isolarsi dal mondo. Il termine è giapponese e significa letteralmente “stare in disparte” e si riferisce a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, rinchiudendosi in casa, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, a volte nemmeno con i propri genitori. Un fenomeno sempre più diffuso. Lo racconta una mamma brianzola, in occasione del “mese degli hikikomori”: lo fa in modo anonimo, perchè il problema nella sua famiglia non è ancora stato superato del tutto. Ma vuole condividere la sua esperienza, consapevole di quanto sia importante parlarne.
Il rifiuto di andare a scuola
“Tutto è iniziato anni fa, quando nostro figlio frequentava la scuola media e ha iniziato a rifiutare di andare a scuola. Poi è rientrato, ma quello è stato un campanello d’allarme. Quando è andato alle superiori e soprattutto dopo il periodo del Covid, non ha più voluto tornare a scuola. E da allora, non è più uscito di casa”. Una situazione davvero complessa, una sofferenza per tutti, per i ragazzi che rifiutano ogni contatto col mondo esterno e per i parenti che non sanno più cosa fare per cercare di risolvere il problema.
Il ruolo della scuola
“Questi ragazzi non vogliono più andare a scuola non perchè hanno problemi di apprendimento, anzi. Spesso si tratta di giovani molto intelligenti e che hanno ottimi voti. Ma possono avere problemi di relazione con i compagni. Se vanno a scuola, rifiutano di fare l’intervallo oppure non partecipano alle gite. Con mio figlio tutto è iniziato così” racconta la mamma. Spesso in queste situazioni i genitori si sentono colpevoli. “Mamme e papà pensano di aver sbagliato qualcosa se i propri figli non vogliono più andare a scuola. Si sentono in colpa. In questo caso, la scuola gioca un ruolo fondamentale. Se gli insegnanti sono comprensivi, la situazione può essere affrontata con più serenità. Se invece, come è successo a noi, se la prendono con la famiglia o se rimproverano il ragazzo non appena rientra in classe, allora è peggio”.
Anni chiusi in stanza
Le assenze scolastiche diventano sempre più numerose finché molti “hikikomori” decidono di non frequentare più la scuola e si chiudono in casa. A volte, non fanno entrare più nessuno in camera. Possono passare anni prima che la situazione si sblocchi. “Nella propria stanza, i giovani trascorrono gran parte del loro tempo su internet. Alcuni di loro di giorno dormono, per evitare il contatto con i genitori e di incontrare il loro sguardo. Vivono e mangiano di notte, quando il resto della famiglia dorme” racconta la mamma, che ormai conosce il fenomeno. “L’isolamento ha diversi livelli. In alcuni casi, i ragazzi arrivano perfino a non lavarsi”. I genitori non sanno più cosa fare. “E’ molto faticoso e i genitori vanno accompagnati, perché ci sono alcuni comportamenti che è meglio evitare. Per esempio, non bisogna insistere o forzare, altrimenti i ragazzi si chiudono ancora di più: noi lo abbiamo capito col tempo”.
L’associazione Hikikomori Italia Genitori
Per sostenere le famiglie, è nata l’associazione “Hikikomori Italia genitori”, diffusa a livello nazionale, con comitati regionali. In Lombardia, coinvolge circa 400 simpatizzanti e promuove 8 gruppi di auto mutuo aiuto (Monza, Milano nord e sud, Como, Varese, Bergamo, Brescia e Pavia a breve). Si occupa di sostegno per le famiglie di persone in ritiro sociale volontario e della creazione di reti territoriali con le istituzioni; è organizzata in numerosi raggruppamenti locali di genitori in Italia che si incontrano con cadenza periodica in presenza di uno psicologo di supporto per il confronto sulle possibilità di gestione dell’hikikomori. Vuole essere uno spazio sicuro a disposizione dei genitori.
“Veder stare meglio i propri figli e figlie è un percorso lungo e tortuoso e presuppone un mettersi in discussione importante e come genitori e come scuola e come società – spiega la coordinatrice della Lombardia Rosangela Lavezzari – Essere hikikomori non significa essere dipendente da videogiochi o internet, non significa avere una patologia psichica, ma significa avere un disagio disadattivo. Alcune persone potrebbero avere isolamento e altre psicopatologie ma non è un passaggio automatico. Essere hikikomori non significa essere lazzaroni o essere stati viziati dai genitori. Fino ad un certo punto questi bambini o ragazzi sono nel mondo in linea con le aspettative, sono bravi studenti, bravi ragazzi. Poi ad un certo punto non ce la fanno più e si tolgono dal mondo esterno. Si autoescludono dalla vita sociale esterna e si rifugiano in casa: abbandonano amici, sport, scuola, lavoro e si chiudono in casa”.
L’ascolto del disagio
In Italia, secondo i dati dell’associazione, il fenomeno riguarda tra i 100 mila e i 200 mila giovani in un’età compresa tra gli 11 e i 19 anni. I campanelli di allarme ci sono, ma è difficile comprenderli ed è difficile trovare un punto di comunicazione con i ragazzi. “Loro non si sentono né malati né vogliono essere aiutati da alcuno specialista. L’aiuto può arrivare intercettando prestissimo il disagio o attraverso la famiglia. Alcuni si fanno aiutare. La cosa più complicata è ascoltare questo loro disagio, rispettare il loro bisogno di rallentare e chiudersi ma al contempo non smettere mai di avere un dialogo anche minimo e apprezzarli per quanto fanno anche in casa. Chi riesce a uscirne e a stare meglio parte sempre dalle passioni e dai desideri”. Se un genitore o parente ha bisogno di sostegno e vuole entrare in contatto con l’associazione può scrivere a lombardia@hikikomoriitalia.it
La campagna social e il fumetto
In occasione del “mese degli Hikikomori”, l’associazione insieme all’associazione Hikikomori e il consiglio nazionale dei centri commerciali, con il supporto della Scuola del Fumetto di Milano, promuove una campagna social, accompagnata da video e materiali, come un opuscolo digitale che sarà pubblicato sui profili social dei centri commerciali, con una serie di storie a fumetto. L a campagna multicanale si declinerà in contenuti social sulle principali piattaforme, proponendo post informativi, dati chiave e testimonianze dirette, puntando anche al coinvolgimento diretto degli utenti attraverso la condivisione delle proprie esperienze. Inoltre, sarà la voce dell’attrice Lucia Sardo a raccontare in quattro video le storie di genitori, fratelli e sorelle, e insegnanti che avvicineranno ancora di più alla dimensione emotiva e personale del fenomeno. Gli studenti della Scuola del Fumetto hanno realizzato l’opuscolo digitale capace di esplorare e interpretare in modo efficace le sfumature della difficile condizione che si esprime attraverso l’isolamento sociale. Un progetto che offre un’occasione concreta per approfondire il tema del ritiro sociale volontario giovanile, per creare maggiore consapevolezza e fornire gli strumenti di supporto per aiutare a riconoscere i campanelli d’allarme. “Quando si rivolgono a noi, i genitori hanno già consapevolezza della situazione. Molti di loro non sanno dare un nome a quello che sta capitando nella loro famiglia” dicono i referenti dell’associazione.
Il convegno
Regione Lombardia e Ufficio Scolastico regionale hanno organizzato un convegno in programma il 20 marzo all’istituto statale Ettore Conti di Milano, dalle 8.30 alle 13.30 dal titolo “Sguardi attraverso il muro: studenti in ritiro sociale. L’inclusione di sistema tra scuola, sanità e famiglia”. Interverranno psicoterapeuti e pedagogisti e sarà un’importante occasione per parlare del fenomeno e per fare rete. Il convegno è il frutto di un confronto durato mesi tra Ufficio Scolastico Regionale, enti del terzo settore e sanità. Sarà un momento di riflessione e di sostegno per le famiglie ma anche per le scuole, sia medie che superiori, che si trovano a fare i conti con casi di studenti e studentesse fantasma, che a scuola non ci vanno più o fanno molte assenze.